martedì 30 giugno 2009

Tutela vs valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico-artistico in Italia / Preservation vs valorisation of landscape and monuments in Italy

Su Teknemedia è comparso un articolo dell'avvocato Andrea Pizzi che spiega in maniera chiara come nella Costituzione italiana la tutela del territorio e dei monumenti debba prevalere sulla loro valorizzazione (=sfruttamento commerciale). Le sottolineature sono mie.

On the Teknemedia website showed up an article by the lawyer Andrea Pizzi which clearly explains how in the Italian Constitution the land and monuments' preservation must prevail on their valorisation (=commercial exploitation). I underlined some sentences.

Website: http://www.teknemedia.net/



Ai sensi dell’art. 9 della Costituzione la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Il patrimonio culturale del Paese è elemento essenziale della nostra identità e si tutela con lo studio e la cura, grazie al lavoro degli esperti. In questo senso la struttura delle soprintendenze è idonea all’applicazione concreta del dettato costituzionale. Le continue riforme e modifiche legislative, però, invece di agevolarne il funzionamento, hanno inciso negativamente, affaticando il sistema, diminuendo i fondi e riducendo il personale. Malgrado ciò, i nostri soprintendenti hanno tutelato il nostro patrimonio, con professionalità e competenza. Ai sensi dell’art. 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la valorizzazione del patrimonio culturale consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio stesso e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione pubblica. Il fine della valorizzazione è di promuovere lo sviluppo della cultura e deve essere attuato in forme compatibili con la tutela e tale da non pregiudicarne le esigenze, anche attraverso la partecipazione di soggetti privati, singoli o associati. Per il perseguimento delle finalità così indicate, l’art. 111 dello stesso Codice prevede infatti che l’attività di valorizzazione dei beni culturali possa essere a iniziativa pubblica o privata, consistendo nella costituzione e organizzazione stabile di risorse, strutture o reti e nella messa a disposizione di competenze tecniche e risorse finanziarie e strumentali. Il concetto di valorizzazione è dunque chiaramente espresso in senso pubblicistico.
Il problema è che, nella prassi corrente, il concetto di valorizzazione tende a essere considerato in senso meramente privatistico e quindi di tipo essenzialmente commerciale, votato al profitto, spesso a breve termine. Dai beni culturali, invece, bisogna generare cultura, non ricavi; che è nobilissima arte, ma non è l’obiettivo espresso dai padri costituenti e dal legislatore ordinario al riguardo. I beni culturali non sono beni da mettere a reddito. Il museo non è da valutare sulla base del denaro che riesce a generare.
Diverso è pensare che la società cambia e, così, si evolve anche la domanda di fruizione culturale. Possono essere migliorati o aumentati i servizi connessi, creati nuovi posti di lavoro, anche in quell’ambito privato che, ovviamente, deve generare un lucro dalla propria attività. Possiamo senz’altro pensare che una migliore valorizzazione e fruizione dei nostri beni culturali possa rendere l’Italia un posto ancora più interessante e piacevole da visitare per gli italiani e per gli stranieri; che tutto ciò faccia lavorare i nostri alberghi, ristoranti, bar, negozi, etc. Ma i beni culturali sono una cosa e il turismo un’altra. Ben venga la sponsorizzazione e il mecenatismo da parte dei privati nell’opera di valorizzazione (e anche di tutela) dei nostri beni culturali, che è cosa completamente diversa dal “mettere a reddito”. Occorre impedire che il nostro patrimonio culturale, che è stato preservato con incredibili sforzi da parte dei nostri soprintendenti, possa essere consegnato al mero interesse economico di gruppi privati, che non è il nostro diretto interesse. Come cittadini dobbiamo pretendere che il nostro patrimonio sia conservato, studiato e tutelato, che sia regolato da leggi degne, non da pezze normative e mezze riforme continue. Dobbiamo pretendere che l’amministrazione statale e gli enti locali (cioè noi stessi) possano proporre la propria azione culturale al meglio delle possibilità, anche attraverso l’attività e il supporto dei privati. La valorizzazione sia valorizzazione reale, alla luce del Codice dei beni culturali vigente, non il cavallo di Troia per consegnare il nostro patrimonio ai privati. Non dobbiamo permettere che venga demonizzato il sistema delle soprintendenze, che passino concetti come quello del giacimento di “petrolio culturale” da far estrarre e commercializzare da sapienti mani private, dei famosi “scantinati” di musei “pieni di beni culturali abbandonati e polverosi” che altri potrebbero utilizzare.
Ben vengano invece i manager, gli esperti di marketing, etc., se possono aiutarci nella reale e concreta valorizzazione alla luce della normativa vigente. Il problema non è rappresentato da loro ma dal concetto stesso di valorizzazione e dai suoi necessari limiti. Nel frattempo, anche il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza del 2 marzo 2009 (n° 510/2009), proprio esaminando lo schema di D.P.R. recante modifiche al regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, rilevava, tra le altre cose, che il Codice dei beni culturali distingue nettamente tra tutela e valorizzazione, subordinando quest’ultima alla prima, “sicché nel contrasto che si dovesse creare tra la tutela alla cui cura è dedicata una certa struttura amministrativa, e la valorizzazione, rientrante nelle competenze di altra struttura amministrativa, dovrebbe sempre prevalere la tutela e non la valorizzazione.” Inoltre, proprio con specifico riferimento alla creazione della nuova Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale, per lo stesso Consiglio di Stato occorre “prendere atto che la valorizzazione dei beni culturali costituisce una materia trasversale, che va a toccare le competenze delle altre direzioni centrali e delle direzioni regionali. Di qui il rischio di sovrapposizioni e di non chiare delimitazioni di confine, sicché la Sezione non può non raccomandare all’Amministrazione un’attenta revisione delle varie competenze, in modo da evitare che materie specifiche, attinenti alla valorizzazione, siano attribuite ad altre direzioni generali e che le competenze della Direzione generale per la valorizzazione vadano inevitabilmente a toccare le materie riservate alle altre direzioni generali.” Considerati proprio i rilievi espressi dal Consiglio di Stato, sarà senz’altro opportuno attendere il momento della compiuta regolamentazione della nuova Direzione Generale per la valorizzazione del patrimonio culturale per un’attenta valutazione al riguardo.

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