Che Firenze sia una città sottocontrollo, ce ne
eravano resi conto. Che gli spazi vengano usati
per imporre un chiaro confine tra la concessione
temporanea e la negazione era sempre più palese.
Ma le modalità con cui si tengono a distanza i
cittadini e i turisti da spazi che dovrebbero essere
condivisi e accessibili, sono veramente degne di
una riflessione approfondita.
I muri, le barricate, i distanziatori, non sono sempre
in mattoni o in muratura, talvolta si presentano in
grate spacciate per estrose esercitazioni di design
urbano, altre volte si celano dietro fioriere dalle
odorose piante, da piani rialzati riempiti da ciottoli
di fiume.
Così la distanza è assicurata ma senza traumi, senza
andar giù pesante. E' un modo cordiale e colorato per
impossibilitarti il transito, la condivisione di un'area
che ci appartiene, è un processo che ti impone di
vedere il mondo dietro e dentro gabbie, reticoli.
Insomma, avrà anche ragione Francesco Bonami
che, nell'articolo pubblicato il 22 novembre 2009
su La Repubblica, ritiene Firenze una città delicata,
alla quale non si possono trapiantare idee che poco
hanno a che fare con la natura e il contesto della
città, ma è anche vero che non si può difendere ad
oltranza un'idea del passato che diviene orizzonte
piatto e mortificante e nemmeno si può imporre il
restiling di una piazza senza tenere conto di chi vive
nel quartiere in cui si trova.
L'immaginario intasato e la prepotenza istituzionale
di Firenze, della Toscana e forse di buona parte dell'Italia
proviene da un panorama eccessivamente autoreferenziale
e zoppo per varie motivazioni.
Vi mostriamo, alcuni eloquenti esempi di quanto affermato:
domenica 22 novembre 2009
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